INFERTILITÀ
MASCHILE

La sterilità maschile e lo screening diagnostico del partner maschile di una coppia sterile

Quanto incide il fattore maschile nella sterilità?
Il fattore maschile, nell’ambito della sterilità di coppia, è in continuo e costante incremento. In passato si riteneva, in generale, che tale situazione fosse principalmente legata a cause femminili. Attualmente è dimostrato che il fattore maschile è presente in almeno 50% dei casi (solo fattore maschile o combinazione di fattore maschile e femminile). In particolare, il numero di spermatozoi nell’eiaculato maschile è andato progressivamente riducendosi fino quasi a dimezzarsi negli ultimi 50 anni, anche se esiste una grande variabilità nella conta degli spermatozoi (non solo da individuo ad individuo ma anche da eiaculato ad eiaculato), nella loro morfologia e nella loro motilità. Tra l’altro, la stessa conta degli spermatozoi non è un indice dimostrato di fertilità, in quanto non esiste una correlazione certa tra il loro numero ed il potenziale di fertilità maschile, tranne nei casi di grave oligoastenoteratospermia (riduzione del numero e della motilità ed aumento delle forme anomale degli spermatozoi nel liquido seminale) od azoospermia (assenza di spermatozoi nel liquido seminale). Nelle società industrializzate la diffusione del problema è talmente elevata -più di un italiano su dieci è sterile- da essere considerata una vera e propria malattia sociale.

Quanto incide l’età di un uomo sulla sua fertilità?

Negli uomini l’età ha un impatto molto minore sulla fertilità perché gli spermatozoi, a differenza degli ovociti, vengono continuamente rinnovati. Nell’uomo la produzione di spermatozoi è un processo continuo e la spermatogenesi, cioè la formazione di spermatozoi, si svolge ininterrottamente all’interno dei testicoli. L’intero “ciclo di maturazione” dura circa 70 giorni, dunque ogni 3 mesi un uomo rinnova interamente il suo patrimonio di spermatozoi. Ciò avviene per tutta la vita, dalla pubertà fino alla vecchiaia, e questo spiega perché un uomo può essere ancora fertile e generare dei figli anche in età avanzata. Questo non significa che l’età non abbia alcuna influenza sulla fertilità maschile. Col passare del tempo si può avere ad es.: una diminuzione della produzione di testosterone; un aumento dei problemi prostatici; un aumento delle disfunzioni erettili o dei problemi di eiaculazione; o un periodo più prolungato di esposizione a tossine o ad altri fattori legati all’ambiente e allo stile di vita che possono danneggiare la fertilità. Al di là di questo, esistono una serie di fattori di rischio per la fertilità maschile che devono essere accuratamente ricercati ed eventualmente trattati. In particolare si tratta di fattori che, per tutto l’arco della vita, possono influenzare negativamente la capacità riproduttiva in modo transitorio o permanente.

Quali sono i fattori di rischio più comuni che possono influenzare negativamente la capacità riproduttiva del maschio?

Ricordiamo per esempio patologie come il criptorchidismo (il cosiddetto “testicolo ritenuto”) non trattato efficacemente nella prima infanzia, infezioni delle vie genito-urinarie e patologie prostatiche, varicocele, orchite post-parotitica, torsioni del funicolo spermatico, traumi e pregressi interventi chirurgici invasivi della regione inguino-scrotale, disordini endocrini, assunzione acuta e/o cronica di farmaci (es. esposizione a chemioterapici per patologie neoplastiche, farmaci antiipertensivi, neurolettici, ecc.), patologie genetiche cromosomiche (la più comune è S. di Klinefelter) e geniche (come le microdelezioni del cromosoma Y), patologie da abuso di alcol e stupefacenti, patologie professionali (es. esposizione a radiazioni ionizzanti o ad inquinanti chimici di provata tossicità per la spermatogenesi). A queste vanno aggiunte patologie sistemiche o d’organo fortemente debilitanti l’organismo e tutti i disordini che hanno implicazioni sulla funzione erettile ed eiaculatoria, situazioni che, in un modo o nell’altro influenzano tutte negativamente la capacità riproduttiva maschile.

L’ambiente può influenzare la fertilità maschile?

L’ambiente, ed in particolare l’inquinamento ambientale, ha un grande impatto sulla fertilità maschile. Un ruolo importante svolgono i cosiddetti “interferenti endocrini” in grado di alterare ad esempio la funzionalità tiroidea o l’integrità dell’asse ipotalamo-ipofisario, soprattutto attraverso l’inquinamento delle falde acquifere e, quindi, attraverso la filiera alimentare. La lista dei fattori ambientali responsabili della sterilità è lunga, tra i principali ricordiamo:gli insetticidi che trovano largo impiego nelle coltivazioni non biologiche; i plastificanti come gli ftalati ed il bisfenolo che sono sostanze aggiunte alle materie plastiche e si trovano in oggetti di uso comune come stoviglie, rivestimento delle lattine, cosmetici, giocattoli; i cosiddetti ritardanti di fiamma che sono utilizzati in molti prodotti elettronici, gommapiuma per divani, prodotti tessili.

Lo stile di vita e l’alimentazione possono giocare un ruolo nella sterilità maschile?

L’infertilità maschile riconosce sicuramente una grossa componente sociale. Su di essa, infatti, oltre alle condizioni soggettive, chiaramente patologiche, sembrano influire anche le condizioni ambientali e lo stile di vita (incluso lo stress). Giungere a conclusioni certe è però più difficile di quanto sembri. Alcune condizioni lavorative che espongono a radiazioni, a sostanze tossiche o a microtraumi, aumentano il rischio di infertilità. Anche l’esposizione agli inquinanti prodotti dal traffico urbano agisce negativamente. Il fumo di sigaretta nuoce agli spermatozoi: i fumatori spesso hanno un maggior numero di spermatozoi con morfologia anormale. Dal momento che la maggior parte degli uomini con problemi di fertilità non è sterile, ma “semplicemente” ipofertile, è molto importante adottare norme comportamentali adeguate. Tali regole, utili anche in ottica preventiva, comprendono l’astensione dal fumo, la moderazione nell’assunzione dell’alcool, l’utilizzo di indumenti e biancheria intima traspirante e non troppo stretta, il rispetto di una dieta equilibrata (eventualmente integrata con lo zinco) e l’adozione di uno stile di vita più attivo. Non si tratta dei soliti consigli di routine; basti pensare, ad esempio, all’effetto positivo dell’attività fisica sui livelli circolanti di testosterone – fondamentali per la spermatogenesi -; all’alto grado di correlazione tra disfunzione erettile ed aterosclerosi o agli innumerevoli effetti dannosi dell’alcol e del fumo.

Quali esami deve effettuare il partner maschile di una coppia sterile?

L’esame basilare è lo spermiogramma che valuta le caratteristiche numeriche, morfologiche e funzionali degli spermatozoi e dell’eiaculato in genere. Il liquido seminale rappresenta un po’ la carta di identità dell’individuo. L’esame standard del liquido seminale e’ un fondamentale mezzo diagnostico per impostare un corretto “screening” di una coppia con problemi di sterilità. Esso rappresenta la più rilevante indagine di laboratorio che consente di stabilire se il partner maschile debba essere effettivamente considerato infertile e, quindi, se il livello di infertilità sia tale da richiedere una procedura di fecondazione assistita ed infine verso quale tecnica di procreazione assistita è opportuno procedere. Pertanto , solo un accurato studio del seme  e l’ integrazione di tutti i suoi parametri seminali con i dati derivanti dallo studio della fertilità della coppia ci potrà consentire di valutare in termini corretti l’aspettativa di fertilità e la capacità fecondante relativa di un individuo. Per legge vanno prescritti anche il cariotipo (per escludere patologie geneticamente trasmissibili alla progenie) e l’elettroforesi dell’emoglobina (per escludere lo stato di portatore di anemia mediterranea o talassemia). Per quanto riguarda il prosieguo dello screening, se la risposta è una normospermia (integrità dei parametri morfofunzionali del liquido seminale) non prescriviamo altri esami, altrimenti effettuiamo indagini cosiddette di II livello, cioè:

  • Screening infettivologico con ricerca di alcuni germi particolari come la Chlamydia Trachomatis, la Gardnerella Vaginalis, l’Ureaplasma Urealyticum, il Mycoplasma Hominis;
  • Dosaggi ormonali completi con profilo gonadico, tiroideo, surrenalico ed insulinemico. Dosiamo sempre l’Inibina B che è un ormone prodotto dal testicolo in presenza di spermatozoi maturi. Il valore dell’Inibina e dell’FSH (ormone ipofisario) condizionano l’iter diagnostico e terapeutico in caso di azoospermia (assenza di spermatozoi nell’eiaculato). Se l’Inibina è bassa e l’FSH è elevato la possibilità di recuperare spermatozoi nel testicolo, anche con una biopsia, è molto basso;
  • Analisi genetiche e geniche che valutano le anomalie cromosomiche (presenti nel 2-8 % dei maschi infertili), i disordini numerici (aneupliodie) dei cromosomi sessuali come nella sindrome di Klinefelter in cui abbiamo un cromosoma Y sovrannumerario, i mosaicismi, le anomalie di struttura;
  • Lo screening per la fibrosi cistica e lo studio delle microdelezioni del cromosoma Y sono effettuate di routine nel caso in cui il numero degli spermatozoi risultasse inferiore ai 5 milioni
  • Dosaggio sierico di omocisteina che è una proteina coinvolta nel metabolismo della metionina e che rende più viscosi tutti i fluidi biologici interferendo, in questo caso, con la motilità e la vitalità degli spermatozoi.
  • Un esame particolare è la cosiddetta FISH su liquido seminale che utilizza sonde fluorescenti in grado di legarsi ai cromosomi presenti nel nucleo degli spermatozoi. Questo esame è utile in caso di poliabortività e/o di ripetuti fallimenti di fertilizzazione e impianto embrionario, in quanto ci fornisce la percentuale di spermatozoi portatori di anomalie cromosomiche in un determinato liquido seminale.

Esistono delle modalità particolari per l’esecuzione dello spermiogramma?

Innanzitutto è indispensabile che l’esame sia effettuato presso un Centro di medicina della riproduzione, per evitare il rischio di analisi incomplete o non aderenti ai parametri raccomandati dal WHO (Organizzazione Mondiale della Sanità) che ha stabilito con precisione come eseguire l’esame ed i parametri da valutare. L’esame del liquido seminale consiste in una valutazione macroscopica, microscopica e chimico batteriologica dell’eiaculato. Per una valutazione ottimale è necessario un periodo di astinenza dai rapporti di 3-5 giorni. La raccolta del seme deve essere eseguita preferibilmente presso il laboratorio e deve essere effettuata in un contenitore rigorosamente sterile.

E’ possibile migliorare i parametri di un liquido seminale?

A volte è possibile. Il caso più favorevole è costituito dalla carenza di ormoni ipofisari (FSH ed LH), situazione che noi definiamo ipogonadismo-ipogonadotropo e che è responsabile di una ridotta spermatogenesi. In questo caso la somministrazione di ormoni (essenzialmente FSH) porta, quasi sempre, al ripristino di una normale produzione di spermatozoi. In ogni caso la terapia ormonale è una terapia molto delicata e, molto spesso, si assiste a terapie incongrue a base di ormoni che possono portare ad un peggioramento, anche definitivo ed assoluto, dei parametri del liquido seminale. In altri casi è possibile migliorare i parametri del liquido seminale utilizzando integratori e sostanze in grado di ridurre i radicali liberi, o abbassando i livelli di omocisteina attraverso la somministrazione di acido folico ed una dieta povera di grassi e ricca di folati.

Che cos’è il varicocele?

Il varicocele è la dilatazione delle vene del plesso pampiniforme dello scroto. Una sorta di vene varicose genitali. La dilatazione di queste vene porta ad un aumento della temperatura intrascrotale che può risultare altamente letale per la produzione e la funzionalità spermatica. Può essere una patologia insidiosa in quanto, spesso, è a lungo asintomatica. Un aspetto caratteristico del varicocele è la presenza di spermatozoi con la testa appuntita nel liquido seminale che risulta patognomonica. La diagnosi è relativamente semplice e si basa sull’effettuazione di un ecografia scrotale con doppler flussimetria. Più controversa la terapia. Attualmente si tende a non trattare un varicocele asintomatico in pazienti di età superiore ai 32-34 anni in quanto il danno, se presente, risulta generalmente non significativamente recuperabile. In ogni caso la terapia è chirurgica e necessita di almeno 6-8 mesi per la valutazione di un recupero funzionale.

E’ possibile preservare la fertilità in un maschio affetto da neoplasia?

Non solo è possibile ma è doveroso. I maschi affetti da neoplasie e che necessitano di trattamenti chemio e/o radioterapici dovrebbero essere sempre invitati a crioconservare campioni di liquido seminale prima di sottoporsi al trattamento che potrebbe interferire in modo drammatico sulla successiva fertilità. Analogamente dovrebbero fare i maschi che si sottopongono a chirurgia demolitiva per seminoma.